Qual è il destino del diritto del coniuge cousufruttuario dopo la sua morte?

Qual è il destino del diritto del coniuge cousufruttuario dopo la sua morte?
27 Febbraio 2019: Qual è il destino del diritto del coniuge cousufruttuario dopo la sua morte? 27 Febbraio 2019

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata, con sentenza n. 33546 del 28/12/2018, sugli effetti che la morte del coniuge cousufruttuario produce sul suo diritto di usufrutto.

Il caso deciso era quello di colui che aveva acquistato la quota del 50% della proprietà di un complesso immobiliare che, all’atto dell’acquisto, aveva concesso in usufrutto la sua quota ai genitori, riservando a sé la nuda proprietà.

In seguito alla morte del padre, ritenendo di esserne divenuto pieno proprietario al 25%, alienava tale minor quota della piena proprietà dell’immobile ad un terzo.

Sua madre però, in qualità di unico usufruttuario superstite, impugnava il contratto di vendita, dando luogo ad una controversia che giungeva in Cassazione. Costei invero riteneva che l’usufrutto, coerentemente al regime di comunione legale matrimoniale, fosse da intendersi congiuntivo e non per quote: ragione per cui entrambi i coniugi sarebbero stati titolari di un diritto di usufrutto congiunto sul 50% del complesso immobiliare e non invece di distinti diritti sul 25% ciascuno.

In subordine, la cousufruttuaria sosteneva di aver diritto al restante 25% in accrescimento della propria quota di usufrutto per effetto della morte del marito.

Chiedeva pertanto l’annullamento del contratto di compravendita, quantomeno nella parte in cui il diritto ceduto era stato qualificato come piena - anziché nuda - proprietà.

La Suprema Corte ha rigettato entrambe le domande della ricorrente seguendo un processo argomentativo convincente e che muove dall’esegesi del peculiare tipo di comunione cui sono soggetti i coniugi in regime di comunione legale dei beni.

L’assunto da cui muove la decisione anzidetta è quello secondo cui “la comunione legale tra coniugi, a differenza della comunione ordinaria, costituisce una comunione senza quote, nella quale, cioè, i coniugi, anche nei rapporti con i terzi, sono solidamente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa”. In altri termini, entrambi sono proprietari per l’intero di tutti i beni che ricadono nella comunione matrimoniale.

In costanza di comunione matrimoniale i coniugi possono sì liberamente e disgiuntamente disporne per l’intero, ma a condizione che l’altro coniuge presti il proprio consenso, con un atto che si configura come negozio unilaterale autorizzativo.

In caso contrario, il coniuge pretermesso può invocare la tutela prevista dall’art. 184 c.c., che configura il negozio traslativo non come acquisto a non domino, ma come acquisto a domino perfezionato in base ad un titolo viziato.

Prosegue la Cassazione sostenendo che “la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane, tuttavia, solo fino al momento in cui – per effetto, ad esempio, della morte di uno dei coniugi – si verifichi, a norma dell’art. 191 c.c., il suo scioglimento: in tal caso, infatti, venta meno l’applicabilità delle relative norme, i beni e i diritti che ne fanno parte cadono in comunione ordinaria tra loro fino alla divisione (in parti necessariamente uguali): ciascun coniuge (ovvero, in caso di morte, i relativi eredi), divenuto titolare della sua quota del diritto o del bene a suo tempo acquisito alla comunione legale, può, in conseguenza, liberamente e separatamente disporne”.

Ciò salvo precisare subito dopo “sempre che non si tratti, come nel caso dell’usufrutto, di un diritto la cui durata non può eccedere la vita del soggetto che ne è il titolare. In quest’ultimo caso, infatti, la quota di spettanza del coniuge deceduto si estingue, a meno che il titolo costitutivo dell’usufrutto non abbia stabilito che tale quota si accresca in capo al coniuge superstite”.

Se ne ricava che l’usufrutto una volta cessata la comunione legale per effetto della morte di uno dei coniugi, rimane soggetto alle regole della comunione ordinaria, che sono quelle testé evidenziate.

Al contrario, il medesimo si presume concesso per quote (c.d. cousufrutto) e, nel caso in cui lo scioglimento della comunione matrimoniale sia dovuto alla morte del coniuge contitolare, si estingue; ciò naturalmente nei limiti della quota che era di spettanza dell’usufruttuario deceduto.

Perché possa diversamente opinarsi, una volontà in senso contrario deve necessariamente emergere dal titolo, anche solo implicitamente, ma in maniera inequivoca: questo perché il c.d. mero cousufrutto è la regola, rispetto al quale il c.d. usufrutto congiuntivo – soggetto invece ad accrescimento alla morte di uno dei beneficiari - rappresenta l’eccezione.

Ritenendo che dal titolo non fosse ricavabile alcuna volontà, anche implicita, nel senso di prevedere il futuro accrescimento del diritto di usufrutto in capo al coniuge superstite, la Cassazione ha perciò rigettato il ricorso.

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